Diario dalla Terra del Fuoco. Giacomo Bove e i popoli della fine del mondo (1881-1884)

Si può affermare che la Terra del Fuoco, estremo lembo meridionale del continente americano, sia per quel che riguarda le conoscenze geografiche ed etnografiche una scoperta italiana. Il primo cronista di viaggio che ebbe modo di osservarne i panorami e constatarne la durezza dei climi fu il navigatore italiano Antonio Pigafetta, che scrisse un resoconto straordinario del suo viaggio al seguito di Ferdinando Magellano nella prima circumnavigazione del mondo completata tra il 1519 e il 1522 e di cui ricorre dallo scorso anno il cinquecentenario. Pigafetta fu tra le poche decine di superstiti ad avere il privilegio di poter raccontare la spedizione, che nella scoperta del passaggio di sud-ovest alla volta delle Indie Orientali si configurò quale viaggio apripista nelle navigazioni del Pacifico che si avvicendarono nel corso dei secoli perfezionando le conoscenze geografiche del più esteso oceano del pianeta. Fin dall’impresa che Magellano compì in Terra del Fuoco, attraverso lo stretto che ancora oggi porta il suo nome, fu chiaro ai navigatori quanto complessa fosse la navigazione lungo quel braccio di mare sub-antartico, ove l’intensità dei venti, le nebbie, le precipitazioni nevose e gli affioramenti di rocce dai fondali sconosciuti rendeva, e ancora oggi rende, complesso l’attraversamento del canale.

Durante quella spedizione e le successive, gli europei instaurarono i primi contatti con i Fuegini, gli indigeni che abitarono quelle terre e che rappresentarono la fase ultima del popolamento del continente americano, partendo dalla discesa che i primi uomini provenienti dalla Siberia intrapresero decine di migliaia d’anni fa dall’attuale Alaska. Pur essendo stati molteplici gli attraversamenti dello stretto il panorama europeo sapeva ben poco dei Fuegini patagonici, e la maggior parte delle conoscenze ad essi relative sono frutto del materiale raccolto durante il XIX° secolo, quando per primo Charles Darwin descrisse con accuratezza i popoli della fine del mondo durante la circumnavigazione a bordo del Beagle negli anni ’30, e successivamente s’insediarono missioni inglesi patrocinate dalla Compagnia Missionaria della Patagonia. D’interesse notevole fu il passaggio della nave Magenta attraverso lo stretto nel 1867, quando Enrico Giglioli pensò, rammentando Pigafetta, “che se il primo italiano che fece il giro del mondo passò per lo stretto di Magellano, era giusto che lo facesse pure la prima nave dell’Italia unita nel compiere la sua circumnavigazione”.

L’esplorazione di Giacomo Bove si inserì, dunque, in quadro d’accrescimento delle conoscenze relative tanto alla geografia dei luoghi quanto ai popoli patagonici. Da un punto di vista del rapporto tra l’Italia e il contesto antartico, la neonata Società Geografica Italiana proiettò da subito lo sguardo alle latitudini australi: in tal senso Cristoforo Negri fece pervenire al Ministero degli Esteri una richiesta di finanziamento per lo studio delle regioni antartiche, in vista di future spedizioni. Bove era già noto nel panorama dei grandi viaggiatori europei: oltre ad esplorazioni nell’Estremo Oriente (1872-1873), prese parte alla navigazione svedese che completò la prima traversata del Passaggio di Nord-est nel 1878-1879. Dopo un primo viaggio in Terra del Fuoco, tornò in Italia e la Società Geografica lo elesse membro d’onore, attivandosi per il patrocinio della spedizione del 1883, anche alla luce delle brillanti osservazioni sui Fuegini in “Brevi cenni sugli Aborigeni della Terra del Fuoco”, pubblicati nel Bollettino della Società Geografica Italiana dello stesso anno.

Tornò a Buenos Aires nell’estate, e compì dapprima una missione esplorativa tra il Paranà e la grande cascata del Guyara, mentre nel 1884 rientrò nella capitale argentina per salpare, accompagnato anche dalla moglie Luisa Bruzzone, verso la Terra del Fuoco. Quando giunse a Punta Arenas, ebbe modo di manifestare la soddisfazione per il clima in una lettera pubblicata nel Bollettino della Società Geografica Italiana del 1884, ove scrisse che “da molto tempo Punta Arenas non ebbe un inverno più mite, un’estate più soave del 1883-84: i venti del N. e del N.E spandono un insolito tepore, e lo stesso Monte Sarmiento[1], per il solito imbronciato e coperto da capo ai piedi di tetri nuvoloni, quest’anno non sdegna mostrare frequentemente la candidissima sua sommità”[2].

L’esploratore compì studi sui popoli che abitavano le coste del Canale di Beagle, e realizzò illustrazioni pregevoli sia degli individui che degli scenari patagonici, che dal paesaggio marittimo del canale passavano in pochi chilometri ai ghiacciai inesplorati della parte terminale meridionale della cordigliera andina. Per comprendere quanto già allora i fuegini faticassero a familiarizzare con l’esploratore a causa dei torti e delle aggressioni subite negli anni precedenti dai balenieri impegnati in quelle acque, è sufficiente riportare un passo del resoconto di Bove relativo alla prima spedizione in Terra del Fuoco,  quando una mattina “a rendere più deliziosa la nostra giornata venne la scoperta di alcuni fuegini sotto il monte Darwin. Erano da cinque a sei canoe che lentamente pagaiavano in vicinanza dell’isola Divide, ma non appena videro che noi dirigevamo su di esse, si allontanarono rapidamente, benché noi offrissimo loro segni di pace. Ebbero in generale questi poveri selvaggi così poco da lodarsi nelle loro relazioni con molti dei balenieri che frequentano la Terra del Fuoco, che non deve fare meraviglia se la vista di una vela porti tra loro tanto spavento”[3].

Bove raccolse, inoltre, numerosi scheletri appartenenti in particolare alla tribù dei Fuegini marittimi degli Yamana[4] (o Yaghan) che attualmente sono divisi tra il Museo di Storia Naturale-Antropologia e Etnologia a Firenze e il Museo di Antropologia “G. Servi” della Sapienza Università di Roma. La Società Geografica Italiana custodisce invece i giornali di viaggio di entrambe le spedizioni italo-argentine in Terra del Fuoco e i disegni relativi alle esplorazioni del Canale di Beagle, conservati nell’Appendice al Fondo Storico.

Quando tornò in Italia, forte delle due spedizioni compiute in quelle terre nell’arco di tre anni, Bove presentò una proposta di colonizzazione nazionale attraverso le missioni in Terra del Fuoco, che tuttavia non ebbe mai realizzazione. Si tenga presente che vi era già una presenza italiana tra quei popoli, vale a dire le missioni salesiane attive in quelle latitudini da qualche anno, proprio nel 1883 la Terra del Fuoco fu eletta a Prefettura Apostolica dalla Santa Sede.

Nonostante l’impegno delle missioni a favore dei popoli della fine del mondo, l’estinzione dei Fuegini è ad oggi ormai quasi completa. Il ruolo svolto dagli inglesi nell’uccisione dei leoni marini, il cui olio veniva utilizzato per illuminare le strade londinesi, stravolse la dieta degli indigeni, che in aggiunta dovettero fronteggiare l’aggressività e gli agenti patogeni giunti con la discesa di coloni argentini e cileni. (Filiberto Ciaglia)



[1] Monte della Cordillera Darwin, alto 2207 metri;

[2] Bollettino della Società Geografica Italiana, p.282, Roma, Società Geografica Italiana, 1884;

[3] Giacomo Bove, Patagonia, Terra del Fuoco, Mari Australi. Rapporto del tenente Giacomo Bove al Comitato Centrale per le Esplorazioni Antartiche, p.108, Genova, 1883;

[4] Già nel 1884 si riscontrava un notevole calo demografico della tribù Yamana rispetto al viaggio di Darwin di cinquant’anni prima, le malattie portate dagli europei provocarono la morte di circa 2000 individui, assestando la popolazione totale a 1000 indigeni che sarebbero stati messi alla prova, proprio in quell’anno, dalla diffusione del morbillo. Il principale missionario che dedicò i suoi studi agli Yamana fu Lucas Bridges, che entrò a contatto con Giacomo Bove. L’inglese pubblicò le sue osservazioni e memorie in un volume dal titolo “Ultimo confine del mondo”.